Con la presente pronuncia, la Corte di Cassazione – richiamando una serie di orientamenti già cristallizzati dalla giurisprudenza di legittimità – delinea la struttura del reato di cui all’art. 572 c.p., nei contenuti novellati dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, chiarendo se possano ricondursi alla predetta fattispecie incriminatrice, rispetto a quella di cui all’art. 612 bis c.p., le condotte di maltrattamento maturate all’interno di una coppia di fatto per il tempo in cui i suoi componenti, genitori di un figlio naturale, abbiano cessato di convivere.
La principale modifica apportata all’art. 572 c.p., attiene proprio al riconoscimento della rilevanza della convivenza di fatto ai fini della configurabilità del reato.
A tal proposito, va evidenziato come – prima dell’entrata in vigore dei recenti interventi legislativi sul tema – il nostro sistema abbia fatto fatica ad adeguarsi normativamente in tal senso, avendo il legislatore dato scarso rilievo alla convivenza fuori dal matrimonio, lasciando il discutibile compito di sopperire a questa inevitabile (e anacronistica) discrasia tra diritto positivo e diritto vivente, alla giurisprudenza.
Sempre in tema di maltrattamenti in famiglia, ad esempio, la Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, con Sentenza n. 20647 del 22 maggio 2008, stabiliva che “ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia non assume alcun rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia commessa ai danni di persona convivente more uxorio. Infatti, il richiamo contenuto nell’articolo 572 c.p. alla “famiglia”, deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la “famiglia di fatto“.
Ripercorrendo i passaggi salienti dell’attuale pronuncia della Corte di Cassazione, viene rimarcato come la cessazione della convivenza di per sé non faccia venir meno i vincoli e gli obblighi tra i componenti del nucleo familiare, restando i primi sostenuti dall’istituto del matrimonio e dalle leggi di disciplina del derivato apporto di coniugio o ancora dal rapporto di filiazione (artt. 29 e 30 Cost.; artt. 143 e ss. cod. civ.; art. 315 e ss. cod. civ.).
Deve ritenersi infatti che nei rapporti tra coniugi separati in via giudiziale o consensuale permangono, sia pure in forma attenuata in ragione del sostanziale allentamento del vincolo matrimoniale, reciproci obblighi di rispetto, di assistenza morale e materiale e di collaborazione nell’interesse della famiglia (art. 143 cod. civ.), la cui violazione integra il reato di maltrattamenti in famiglia (Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012 (dep. 2013), M., Rv. 254026; Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628, in motivazione, p. 3; Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016, Spazzoli, Rv. 267915).
L’istituto della famiglia come società naturale nascente dal matrimonio (art. 29 Cost.) è fonte di obblighi che permangono, e la cui violazione integra il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen., anche quando manchi o venga meno la convivenza tra i coniugi, in ragione di reciproche relazioni di rispetto ed assistenza riconducibili a fonte legale, destinate a venir meno solo con il divorzio (Sez. 6, n. 50333 del 12/06/2013, L., Rv. 258644), che di quel legame segna lo scioglimento.
Diversamente, ove la relazione tra due persone si traduca in una famiglia di fatto o more uxorio, la cessazione della convivenza segna l’estinzione della prima nel sottolineato rilievo che per una siffatta ipotesi sia proprio la convivenza o coabitazione a manifestare il rapporto di solidarietà e protezione che lega due o più persone in un consorzio familiare (Sez. 6, n. 22915, cit.).
Nell’indicato principio, deve comunque restare ferma un’eccezione e cioè la presenza di elementi, ulteriori rispetto alla convivenza, che rivelino la prosecuzione del rapporto di reciproca assistenza nonostante la cessazione della coabitazione, nella premessa che il rapporto familiare di fatto, presupposto del reato di maltrattamenti in famiglia, non sia stato di estemporanea formazione e durata.
Ciò premesso, la Corte conclude con l’enunciazione del principio di diritto secondo cui la cessazione della convivenza non esclude, per ciò stesso, la configurabilità di condotte di maltrattamento tra i componenti della coppia, quando il rapporto personale di fatto sia stato il risultato di un progetto di vita fondato sulla reciproca solidarietà ed assistenza, la cui principale ricaduta non può che essere il derivato rapporto di filiazione.