Il concetto di “presenza” rispetto ai moderni sistemi di comunicazione – tematica questa di stretta attualità – è stato di recente affrontato dalla Corte di Cassazione.
La Quinta Sezione Penale, con la sentenza n. 28675/2022, richiamando la nozione di presenza virtuale già espressa nella sentenza Viviano (Cass. pen., Sez. V, Sent. n. 13252/2021), ha ribadito – quale dato di comune esperienza – come sulla chat di gruppo whatsapp i destinatari dei messaggi possono leggerli in tempo reale (perché stanno consultando quella specifica chat), rispondendo nell’immediatezza, ovvero possono leggerli, anche a distanza di tempo, quando non sono on line o ancora, pur essendo collegati a whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la chat nell’ambito della quale il messaggio è stato inviato.
Ciò chiarito, se ne può ricavare che la percezione da parte del destinatario dell’offesa potrà essere contestuale o differita, a seconda che quest’ultimo stia consultando o meno proprio quella specifica chat di whatsapp.
Nel primo caso vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, dovendosi la persona offesa ritenere virtualmente presente; nel secondo caso si avrà invece diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente.
Laddove dunque – sulla base delle risultanze probatorie – il destinatario dell’offesa debba considerarsi soggetto presente nell’ambito della conversazione intrattenuta nella stanza virtuale di whatsapp, avendo lo stesso appreso nell’immediatezza il contenuto del messaggio a lui rivolto, potrà configurarsi (in astratto) una condotta meramente ingiuriosa, la cui rilevanza penale è venuta meno a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 15.1.2016, n. 7 (recante «Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma terzo, della Legge 28 aprile 2014, n. 67»), in forza del quale sono state abrogate una serie di fattispecie di reato, tra cui l’ingiuria (art. 594 c.p.), con trasformazione delle stesse in illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie.
Con riferimento invece alle offese veicolate tramite il social network Facebook, la Suprema Corte ha ribadito come la natura – pacificamente pubblica – della “bacheca Facebook” ove le frasi offensive siano pubblicate permette di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, terzo comma, c.p., poiché tale modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, non contestualmente presenti. (Cass. pen., Sez. V, 12/01/2023, n. 3453)
Quanto invece alle offese veicolate a mezzo del provider di posta elettronica, l’invio di una comunicazione offensiva tramite e-mail a più destinatari integrerà il delitto di diffamazione (e non anche la depenalizzata ipotesi di ingiuria) a prescindere dalla presenza o meno della vittima tra i destinatari della comunicazione. (Cass. pen., Sez. V, 14/04/2023, n. 22631)
Parimenti, in caso di invio di una e-mail a un solo destinatario, il requisito della comunicazione con più persone risulterà integrato quando l’accesso alla casella di posta elettronica sia consentito almeno ad un altro soggetto e ciò sia noto al mittente (o quantomeno prevedibile secondo l’ordinaria diligenza), nonché quando la comunicazione inviata via e-mail risulti prevedibilmente – con giudizio da operarsi ex ante rispetto alla ricezione – diffusa o comunque posta a conoscenza di almeno un altro soggetto. (Cass. pen., Sez. V, 25/01/2022, n. 12186).